DAL CHANGE AL COEVOLUTION MANAGEMENT
- Chi determina il cambiamento coevolutivo?
Il cambiamento coevolutivo, come tutti i cambiamenti importanti per le
organizzazioni si produce con un atto volitivo del gruppo apicale o di un nuovo
gruppo che intende imprimere la rotta organizzativa. Ma questo non basta: c’è
bisogno di implementare in tutta l’organizzazione la “voglia di cambiare” per
innescare quel circolo virtuoso che la porterà a evolvere con il proprio
ambiente organizzativo.
In sostanza c’è bisogno di qualcuno che soffi sul fuoco appena acceso
del cambiamento. Non è un caso che ho chiamato questo gruppo iniziale i
“blowers on the fire” perché svolgono proprio il ruolo di diffondere il
cambiamento dell’organizzazione.
- Quali sono i fattori che possono
agevolare il cambiamento?
Per dare una
risposta a questa domanda mi sono appoggiata all’indagine effettuata a cui
hanno risposto 150 manager e imprenditori. I fattori che agevolano il
cambiamento sono l’engagement delle persone, la comprensione delle ragioni che
determinano le strategie aziendali e la fiducia nella possibilità di successo
delle strategie adottate. A ciò si aggiungono dei co-fattori che abilitano una
strategia coevolutiva: l’innovazione, il rispechiamento della complessità
aziendale e l’apprendimento adattivo sono i più importanti.
- Quali gli aspetti critici che possono mettere in
discussione l’approccio coevolutivo?
Le fasi più critiche che si possono ipotizzare in un
processo coevolutivo afferiscono prevalentemente alla relazione con gli attori
esterni. Tre sono gli ambiti, rispetto ai quali anche gli intervistati rilevano
elementi di criticità nelle proprie aziende: definizione della vision e della
mission comune, coinvolgimento degli interlocutori esterni, implementazione
delle strutture organizzative adatte a coevolvere e descrivere i processi e
formalizzarli. La discriminante, tra ciò che viene ritenuto possibile e ciò che
invece, stante la situazione attuale, viene percepito come un fattore critico,
è riconducibile alla ownership delle attività del processo e non al processo in
quanto tale. Le attività di cui gli intervistati ritengono che l’azienda abbia
la piena ownership sono considerate fattibili, quelle in cui invece ci si deve
confrontare con attori esterni che possono esercitare pressione e negoziare, è
meno fattibile con le risorse attualmente a disposizione.
- Alcuni cambiamenti ambientali sono
possibili solo attraverso l’azione collettiva delle imprese. Anche questo fa
parte del processo coevolutivo?
Per semplificare
l’approccio coevolutivo di cui si dovrebbero dotare le imprese ho volutamente
trattato delle attività che sono nelle mani dei ruoli apicali delle imprese
stesse, accennando anche all’azione collettiva, necessaria per gestire
l’interlocuzione con gli attori ambientali che hanno un potere negoziale che la
singola impresa non riuscirebbe a gestire. Certo è che alcuni aspetti
dell’ambiente organizzativo non possono diventare company friendly se non sono
spinti a diventarlo dall’azione delle imprese. Due sono gli aspetti di
riflessione su cui varrebbe la pena di approfondire, cosa che ho fatto solo
marginalmente parlando del cambiamento: l’organizzazione della rappresentanza e
i contenuti dell’azione collettiva. Per quanto concerne l’azione collettiva
vera e propria il mondo delle imprese dovrebbe uscire dalle stanze paludate e
parlare direttamente all’opinione pubblica nel tentativo di sviluppare alleanze
tra i produttori che creano valore per sé e per il paese.
- Cosa sta al centro delle strategie di
cambiamento coevolutivo?
Per questa ragione le strategie di cambiamento
coevolutivo si basano sulla managerializzazione dell’ambiente organizzativo
affinché il maggior numero di fattori critici ambientali, possa essere gestito
attraverso una relazione attiva con l’ambiente esterno. A questo proposito ho
proposto un modello che concettualizza l’ambiente organizzativo come un campo
strategico d’azione, in cui gli attori si confrontano per sviluppare giochi a
somma positiva. Dal punto di vista delle azioni interne all’organizzazione,
utili per gestire la complessità dell’ambiente esterno, propongo un approccio
metodologico che possa sostenere sia lo sviluppo del processo coevolutivo, sia
quello del progetto che coinvolge le persone e le risorse organizzative
rappresentato dalla figura della “piramide dispiegata”. Il motore del cambiamento coevolutivo
continuo sta nel mix di intelligenza, competenze, partecipazione delle persone
e nell’organizzazione strutturata in funzioni, ruoli e processi che si sono
prodotti nel percorso descritto e che vengono rinnovati in continuazione
consolidando gli apprendimenti che il processo coevolutivo genera. Ciò sta alla base di un’evoluzione
continua che tende ad ottimizzare tutti i fattori in gioco e le attività dei
soggetti che si influenzano reciprocamente.
MANAGERIALIZZARE L’ AMBIENTE ORGANIZZATIVO PER
GESTIRE IL MERCATO
- Cosa significa rendere managerializzabile l’ambiente
organizzativo?
Rendere managerializzabile
l’ambiente organizzativo significa innanzitutto cercare di comprendere quali
sono gli aspetti che lo caratterizzano dal punto di vista istituzionale,
economico, culturale e sociale e tecnologico. La conoscenza delle componenti,
prima ancora che delle relazioni, è un passaggio indispensabile perché consente
di individuare per ogni componente dell’ambiente organizzativo l’influenza che
può esercitare sui risultati dell’impresa. Managerializzare l’ambiente
organizzativo significa renderlo gestibile, quindi è indispensabile conoscere e
capirne le componenti, riaggregarle in funzione del livello di importanza che
rivestono nel raggiungimento dei risultati aziendali per poi definire il Campo
Strategico d’Azione che delimita l’ambiente managerializzato composto da ciò
che influenza in modo importante la vita aziendale.
- Come possono coesistere nell’approccio coevolutivo il
focus sull’ambiente organizzativo e quello sul mercato?
In effetti l’attenzione che si pone
all’ambiente organizzativo ingloba il classico orientamento al mercato, nel
senso che il mercato viene concettualizzato come dipendente dall’ambiente
organizzativo e quindi l’attenzione che viene posta è nell’individuazione delle
relazioni causa-effetto che in un dato ambiente organizzativo determinano il
tipo di mercato. L’idea che il mercato sia una variabile dipendente
dall’ambiente organizzativo non è nuova né recente ma sicuramente è stata
sottovalutata dalle teorie manageriali tutte tese ad individuare il giusto modo
per capire il mercato intesto come incontro della domanda e dell’offerta,
quindi il comportamento del consumatore, circoscritto al suo comportamento di
consumo, e il comportamento dell’impresa, che deve stare in equilibrio tra le 4
P del marketing mix. Nell’approccio coevolutivo la visione del mercato viene
arricchita e resa più complessa ma sicuramente è più realistica
- La centralità del cliente come si realizza?
Quattro possono essere i passaggi
utili per mettere al centro della vita dell’impresa il cliente:la
consapevolezza che nel tempo sopravvivono solo le aziende che sono in grado di
soddisfare i clienti target, l’ascolto del cliente come processo che consente
all’impresa di essere sempre focalizzata sui bisogni del cliente, in grado
quindi di influenzarli e di essere influenzata; passare dalla transazione alla
relazione per ampliare il rapporto con il proprio cliente reale o potenziale a
ciò che avviene prima-durante e dopo l’acquisto; mettere in linea tutti i
processi, non solo quelli direttamente connessi con la shopping experience, con
i bisogni e i problemi dei clienti.
- Quali sono le
attività che creano valore in un’impresa coevolutiva?
Nello specifico di una impresa
coevolutiva sono quelle attività intelligenti che permettono di
managerializzare l’ambiente organizzativo. Le più importanti sono:
1.
La capacità di individuare e
selezionare i fattori critici da inserire nella matrice del campo strategico
d’azione. (Matrice dei fattori critici);
2.
La definizione delle priorità su cui
agire per individuare e realizzare adeguate strategie sintropiche. (Campo
Strategico d’Azione);
3. La visione d’insieme per elaborare strategie ad hoc per le diverse
situazioni e target al fine di elicitare e gestire le conoscenze e le
competenze che l’intelligenza collettiva crea.
- Come si misurano i risultati dell’efficacia di una
strategia coevolutiva nella relazione con il mercato?
Dal livello di coinvolgimento del cliente nelle strategie d’impresa e
dalla sua soddisfazione per l’esperienza di relazione con l’impresa stessa. È
efficace un sistema dinamico, specifico,
reciproco, simultaneo che crea una
zona di comfort per impresa e clienti e che si materializza in strutture
adeguate, in grado di mantenere nei processi tipici della gestione
organizzative, quelle funzioni che monitorano e coinvolgono il cliente. La
strategia coevolutiva nasce dall’idea del management che ritiene, attraverso la
coevoluzione, di poter intervenire sui fattori critici che ne limitano i
risultati, quindi non è possibile non considerare, nell’ambito di una misurazione
dell’efficacia della strategia coevolutiva i risultati aziendali nella
relazione costi/ricavi e a tutti i parametri economici tradizionalmente
considerati.
L’INTELLIGENZA ORGANIZZATIVA IN AZIONE
- Per quali
ragioni le imprese devono diventare più intelligenti?
Oggi le imprese devono diventare più
intelligenti perché solo in questo modo potranno gestire la complessità che
caratterizza il nostro mondo. È peraltro dimostrato, dalle indagini che vengono
condotte nelle e sulle imprese, che sono vincenti quelle aziende in cui ogni
membro è in grado di assumersi la responsabilità consapevole di iniziative di
coordinamento, piuttosto che affidarsi alla pianificazione imposta dall’alto.
Questo significa che non basta l’intelligenza individuale ma ci devono essere
delle vere e proprie infrastrutture in cui il sapere diventa l’asse portante e
le conoscenze sono diffuse e create attraverso percorsi cognitivi ed
esperienziali. Una impresa deve diventare più intelligente perché le attività
che creano valore sono più legate al “sapere” che al “fare”. Ma oggi le imprese
devono diventare più intelligenti perché solo in questo modo potranno
coevolvere con i cambiamenti repentini e imprevedibili del proprio ambiente
organizzativo. - Come
avviene il passaggio da una impresa che “fa” ad una impresa che “sa”?
Una impresa che “fa” è dotata anche di saperi
cognitivi di cui spesso non è consapevole. Il primo passaggio da
un’organizzazione del “fare” ad un’organizzazione del “sapere” è determinato
quindi proprio dal percorso di consapevolezza che permette di evidenziare come
dietro ad ogni fare o dentro ogni fare c’è anche uno (o più) saperi. La
dicotomia tra fare e sapere non è quindi totalmente corretta. Ritengo però che
gli aspetti più importanti per diventare un’organizzazione intelligente siano
quelli della cultura e del clima interno che determinano le interazioni
organizzative e umane tra le persone. Per far funzionare il sistema
intelligente servono anche due componenti che non sempre vengono evidenziati:
la creatività e la tolleranza all’errore. Una impresa impara quando permette
alle persone di misurarsi in percorsi creativi e tollera che nei percorsi e
nell’esperienza concreta le persone possano sbagliare. Solo in questo modo può
transitare all’impresa che fa ma in questo suo fare compulsivo è anche stupida,
ad una impresa che sa e sa fare: una impresa Smart.
- Quando si può dire che
un’organizzazione è intelligente?
Un’organizzazione è intelligente
quando ha una varietà di soluzioni possibili per far fronte alla complessità.
L’organizzazione intelligente è l’organizzazione che apprende costantemente e
che rileva e corregge gli errori, che mette in moto processi di miglioramento
attraverso azioni che si basano su una maggiore conoscenza e comprensione, che
integra e organizza le conoscenze e le routine intorno alle propria attività e
all’interno della propria culture, adatta e sviluppa efficienza organizzativa
migliorando l’uso delle competenze dei propri collaboratori, che sa trattare i
dati trasformandoli in informazioni che permettano la differenziazione e la
varietà dei comportamenti da adottare in un dato contesto.
- L’innovazione è
sinonimo di intelligenza organizzativa?
L’innovazione
non solo è il segno tangibile dell’intelligenza organizzativa in azione ma
innovare è anche un modo che consente all’impresa di modellare l’ambiente
organizzativo di riferimento. Le innovazioni nascono in imprese in cui si è
creato un mix ottimale tra visione, cultura, clima e caratteristiche strutturali,
favorevole al processo di innovazione. L’innovazione fa sintesi del sapere e
del saper fare di un gruppo più o meno allargato, tanto da andare oltre
l’esistente e immaginare il futuro.L’innovazione
dirompente impone oggi uno sguardo nuovo all’ambiente organizzativo esterno e
impone una managerializzazione di settori/ambienti che sempre più devono
rientrare nel campo visivo e d’azione del management. Impone la lettura di
segnali deboli, non appena si evidenziano nel proprio spazio organizzativo, per
queste ragioni produce apprendimenti e crea intelligenza collettiva.
- L’intelligenza
organizzativa è solo una intelligenza razionale?
Henri Poincaré scrisse: “La logica, che può
dare soltanto la certezza, è lo strumento della dimostrazione; l’intuizione, lo
strumento dell’invenzione.” All’impresa serve sia la certezza della logica, sia
l’intuizione non solo quando intende innovare ma nella vita quotidiana. Questo
significa che l’intelligenza organizzativa non può limitarsi ad essere
“razionale” ma deve essere in grado di attivare le intelligenze multiple di cui
le persone sono portatrici. L’impresa smart è quella che riesce a far
colloquiare in modo costane l’intelligenza razionale (esplicita) con quella
emotiva (implicita).
LA S.M.A.R.T. LEADERSHIP 3C
- Cosa distingue il leader dal
manager?
Nell’immaginario simbolico il “leader” è collegato al
potere e il “manager” alla gestione. Nelle realtà organizzative delle imprese
invece le due funzioni si fondono in modo più o meno formalizzato nei ruoli
apicali che vengono denominati di top o middle management, a meno che non ci
sia un leader carismatico, un imprenditore, un direttore generale, che riveste
il ruolo di “condottiero”. Quando è preponderante l’attività di leadership la
cifra del ruolo, l’autoimmagine e l’immagine percepita dai collaboratori è
quella del leader, mentre quando sono prevalenti le attività di managing la
percezione del ruolo e l’autoimmagine sono quelle del manager.- Come si potrebbe definire
la leadership o la funzione di leading?
Secondo Drucker la leadership è l’insieme di quelle
posizioni e di quei processi che determinano l’attribuzione di poteri
differenziati, tanto che qualcuno comanda (leader) e altri seguono (follower).
Il punto di partenza da cui prende le mosse il ragionamento fatto in questo
capitolo è la constatazione che la leadership possa essere concettualizzabile
come un fenomeno presente nelle organizzazioni, determinato da una “distorsione
volontaristica”. Riportando la leadership alla funzione che svolge, o che
dovrebbe svolgere, nelle organizzazioni mi piace pensare, citando Kets De
Vries, che sia un ruolo utile per riconciliare le tensioni che si aprono
nell’agire quotidiano delle organizzazioni, tra gli interessi degli individui e
gli interessi della collettività organizzativa in cui sono inseriti.
- Quali sono le caratteristiche dei
ruoli apicali che servono per gestire le funzioni di leadership?
Posto che si devono concettualizzare le funzioni
organizzative in genere come una risposta dell’organizzazione all’esigenza di
gestire un aspetto più o meno importante della vita organizzativa, la domanda
che ci si deve porre quanto parliamo delle funzioni è: “a cosa servono? Quali sono
i fattori critici che devono essere gestiti da queste funzioni?”
Solo
dopo aver risposto a queste domande ci si può addentrare nel percorso di
individuazione delle caratteristiche che le persone che ricoprono i ruoli
devono avere. Il punto di partenza è quindi costituito dalla constatazione che
in tutte le organizzazioni, in modo più o meno evidente, se si tiene conto del
fatto che le funzioni di leading devono gestire quei processi di influenza
sociale che, attraverso l’aiuto e il sostegno ad altre funzioni, permettono la
realizzazione dell’obiettivo comune, le caratteristiche delle persone adatte a
ricoprirle sono chiare. Devono essere persone self confident, creative,
curiose, concrete e con un forte senso morale.
- La necessità di gestire la
complessità rende obsoleti i modelli tradizionali di leadership?
La
complessità che oggi le imprese devono gestire, proveniente da un ambiente
para-caotico, modifica sicuramente i modelli di leadership tradizionali. Oggi
più che mai ci si accorge che una mente sola non è in grado di affrontare con
successo, anche quando lo vuole fortemente, tutte le tematiche che la
complessità mette sul tavolo direzionale delle imprese. La riflessione dei
teorici della leadership ha già messo a fuoco da tempo che a fronte di un “leader
incompleto” (che non è un leader incompetente) è necessario mettere in campo
una leadership distribuita (Deborah Ancona) o una leadership plurale (Lara
Empson). La necessità di innovare in modo continuativo e in tutti i campi della
vita aziendale, rende necessaria l’attivazione del “genio collettivo” (Linda A.
Hill). Il modello che io propongo è quello della S.M.A.R.T.
3C Leadership.
Una forma organizzativa che coinvolge i ruoli apicali caratterizzata
dall’essere:
Socio-sensibile, Meritocratica, Abilitante, Riflessiva e
Trasformativa, potenziata da 3 fattori C
: Collettiva, Connettiva e, nelle
imprese coevolutive dal terzo fattore: è anch’essa Coevolutiva.
- Cosa significa per una leadership
essere SMART?
Ritengo che
essere SMART per una leadership significhi saper neutralizzare il “gene
egoista”, che c’è in tutti noi e che è molto presente nei ruoli apicali, spesso
abbinato al narcisismo e all’egocentrismo, come molti studiosi della psicologia
dei leader hanno dimostrato.
Gestire e tendenzialmente neutralizzare il “gene egoista”
significa partire da un paradigma di lettura del comportamento umano
pessimista: il gene egoista non è una patologia, alberga in tutti gli umani ed
emerge con valenze diverse a seconda delle condizioni organizzative in cui
operiamo.